Può accadere, in tempi di epidemia da virus Covid-19, che un’impresa – causa le restrizioni alla circolazione e produzione previste dai provvedimenti Governo e Regioni – non riesca, oppure tardi, a fornire merci o servizi ad altre imprese, violando quanto stabilito nel relativo contratto.
Nell’attuale emergenza sanitaria la questione ritengo utile affrontare, senza tecnicismi e in maniera non esaustiva, è l’eventuale giustificabilità della mancata prestazione causata da questa obiettiva forza maggiore.
Con l’adozione dei recenti provvedimenti restrittivi dell’attività produttiva mi sembra utile fornire sintetiche indicazioni per valutare se, l’inadempimento di un’impresa obbligata a fornire merci o servizi ad altra impresa, rientri tra i casi di “impossibilità sopravvenuta” della prestazione.
Ciò giustificherebbe una mancata o tardiva fornitura ed eviterebbe di incorrere in responsabilità contrattuali e trovarsi a dover risarcire gli eventuali danni sofferti dall’altra parte.
In via generale, i provvedimenti dell’autorità (si parla tecnicamente di factum principis) sono senza dubbio ragioni giustificative dell’impossibilità sopravvenuta dell’adempimento.
Factum principis è da intendersi un provvedimento legislativo o amministrativo, dettato da interessi generali, che impedisce l’esecuzione di una prestazione prestazione, indipendentemente dal comportamento dell’obbligato (Cassazione civile, 11 gennaio 1982, n. 119).
Il codice civile prevede che, in caso di impossibilità sopravvenuta – totale e definitiva – di una prestazione, viene meno l’obbligo di eseguire la prestazione senza conseguenze per l’obbligato (salva la restituzione di quanto percepito in ragione della prestazione divenuta impossibile).
Risulta però essenziale che, l’impossibilità della prestazione non sia comunque imputabile ad un fatto dell’inadempiente!
In tal caso, colui che sarebbe obbligato ad eseguire la prestazione, non può giustificarsi opponendo l’emanazione di un provvedimento dell’autorità che gli ha impedito l’esecuzione: l’altra parte potrebbe invocare la risoluzione del contratto e pretendere il risarcimento del danno dovuto all’inadempimento.
Impossibilità sopravvenuta: se l’impresa è in ritardo nella prestazione non è esente da responsabilità
Ipotesi tipica di responsabilità dell’obbligato allorché la prestazione divenga impossibile, è il caso in cui – prima dell’adozione di provvedimenti restrittivi dell’autorità – questi sia già in ritardo nella prestazione rispetto ai termini concordati nel contratto.
Ove l’obbligato non adempie nei termini contrattualmente previsti, egli non può invocare il venir meno dell’obbligazione per l’impossibilità sopravvenuta a una restrizione stabilita dall’autorità.
Non è poi così scontato ritenere esente da responsabilità l’obbligato qualora, pur avendo rispettato i termini del contratto, sia improvvisamente intervenuto in provvedimento che determina l’impossibilità della prestazione.
La parte obbligata ad eseguire la prestazione – stanti la buonafede e la diligenza richiesti dall’ordinamento nel dare esecuzione ai contratti – deve dimostrare di aver cercato di sperimentare tutte le possibilità che (ragionevolmente) gli si offrivano per vincere gli impedimenti connessi alle restrizioni imposte dalla pubblica autorità (Cassazione civile, 8 giugno 2018 n. 14215).
Impossibilità temporanea: l’obbligo della prestazione è solo sospeso
Qualora l’impossibilità (non imputabile all’obbligato) è solo temporanea – perché i provvedimenti dell’autorità hanno un tempo limitato di efficacia – l’obbligo della prestazione permane ma, l’obbligato, non è responsabile del ritardo.
E’ quindi di estrema importanza, per contenere il rischio di incorrere in contestazioni e responsabilità, che le imprese si attivassero – ove possibile – per rivedere i propri accordi contrattuali facendo particolare attenzione alla circostanza che, i provvedimenti emanati dal Governo e dalle Regioni per il diffondersi dell’epidemia di Coronavirus hanno comunque efficacia limitata nel tempo.