Tra i temi di maggiore attualità nei tribunali italiani v’è senz’altro quello relativo ai limiti all’efficacia esecutiva del contratto di mutuo fondiario (disciplinato dall’art. 38 e seguenti del Testo Unico Bancario). Si tratta di quei contratti di mutuo aventi media o lunga durata, assistiti da ipoteca di primo grado sugli immobili offerti a garanzia dell’operazione di credito.
Limiti capaci di pregiudicare la banca dall’avvalersi del contratto di mutuo, stipulato per atto pubblico notarile, per promuovere azioni esecutive in danno del mutuatario che si rende inadempiente nel pagamento delle rate.
La questione origina dalla prassi diffusa di concludere contratti che, seppur stipulati per atto pubblico notarile, attestano che la somma – benché erogata e quietanzata – resta trattenuta presso la banca erogatrice a titolo di deposito cauzionale, a garanzia dell’adempimento di tutte le condizioni preliminari poste a carico del mutuatario (a titolo esemplificativo: iscrizione dell’ipoteca sull’immobile dato in garanzia, stipula di un contratto di assicurazione contro i rischi di distruzione dell’immobile, ecc.).
Detta prassi ha fatto sovvenire il dubbio che il contratto di mutuo così concepito possa non avere (o conservare) natura di titolo esecutivo, idoneo di per sé ad essere speso per aggredire il patrimonio del debitore.
La Suprema Corte di Cassazione ha ripetutamente ribadito che il titolo esecutivo, atto necessario per introdurre l’azione esecutiva, deve esistere nel momento in cui questa è iniziata e non si può formare successivamente, dovendo restare tale per l’intera durata dell’esecuzione (tra le tante, Cassazione civile 24 maggio 2002, n. 7631).
Dunque, se nel contratto le parti pattuiscono che la somma, data per erogata, è poi trattenuta presso la banca fintanto che il cliente non porta a compimento gli adempimenti preliminari all’esecuzione del contratto, può la banca, successivamente, agire per il recupero coattivo del credito sulla base del solo originario contratto?
Con la sentenza 27 agosto 2015, n. 17194, i Supremi giudici hanno ribadito che il mutuo si perfeziona sempre con la consegna della somma di denaro e che, la consegna idonea a perfezionare il contratto, non deve necessariamente caratterizzarsi come materiale e fisica traditio nelle mani del mutuatario. Tuttavia occorre che quest’ultimo acquisisca comunque la disponibilità giuridica del denaro stesso.
Affinché ciò avvenga occorre creare un titolo autonomo di disponibilità delle somme in favore del mutuatario, che certifichi l’uscita della somma dal patrimonio della banca e l’acquisizione della stessa in favore del mutuatario.
È pratica diffusa quella di prevedere la sottoscrizione di un apposito atto di erogazione e quietanza, autonomo e distinto rispetto al mutuo, spesso non contestuale alla conclusione del primo contratto ma successivo.
Sicché, nella giurisprudenza di merito che sta via via stratificandosi con l’applicazione dei predetti principi, non può ritenersi titolo esecutivo – ai sensi dell’art. 474 co. 1 n. 2 c.p.c. – il contratto di mutuo che, pur se stipulato per atto pubblico notarile, prevede che la somma – benché sia stata dichiarata come erogata e quietanzata – è costituita presso la stessa banca in deposito cauzionale a garanzia dell’adempimento di tutte le condizioni poste a carico della parte finanziata.
Tra i più recenti a pronunciarsi sulla questione, il Tribunale di Campobasso, con sentenza dello scorso 25 luglio, mette in risalto l’evidente discrasia intrinseca al contratto di mutuo allorché, la somma finanziata, prima risulta erogata e poi, invece, vincolata e giacente presso la banca. Ritiene il Tribunale che tale prassi crea una situazione di vantaggio solo per quest’ultima che, fin da subito, si trova nella condizione di poter incassare le rate del mutuo risultanti dal piano di ammortamento.
Naturale corollario di questo ragionamento è che un siffatto contratto non integra un titolo esecutivo se difetta dell’attestazione della erogazione della somma mutuata tramite separato atto pubblico o di quietanza tramite scrittura privata autenticata. In mancanza di prova dell’erogazione, il contratto di mutuo di per sé solo non può dirsi idoneo a dimostrare l’esigibilità dell’obbligo di rimborso della somma mutuata.
Dunque non è spendibile come titolo per promuovere l’esecuzione forzata in danno del mutuatario (Tribunale di Avezzano, 18 luglio 2017).